UTOPIE POSSIBILI

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La difficoltà nel considerare definitivo il dissidio con l’alterità forse risiede nel fatto che l’unico modo di porsi nei confronti della vita è dall’esterno, da osservatori. Solo così, negli altri, è viva e vitale. L’interiorità è stancante, e alla lunga noiosa… Visto dall’esterno, un labirinto può risultare (esteticamente) piacevole, dall’interno, solo pareti, e varchi che danno su altre pareti.

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Pretendiamo che gli altri vedano attraverso il nostro labirinto, come se avesse pareti di vetro. Ma probabilmente così non è. E ci stupiamo se gli altri chiudono il loro a doppia mandata. È così. Non stupiamoci se poi ci illudiamo di vederli attraverso vetri che in realtà non esistono.

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Ognuno percorre il proprio labirinto (o ci sta dentro, abitandoci, semplicemente, stando fermo). Ci illudiamo di fare pezzi di strada insieme: gli schemi in realtà non coincidono.

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Quello che per noi è interno, per gli altri è esterno. E viceversa. Ci stupiamo ancora?

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Alcuni labirinti realizzati nei giardini, come quelli di alcune litografie di fine 800, hanno un padiglione rialzato al centro, per permetterne l’osservazione in tutta la loro bellezza. Ma per far questo bisogna averne attraversata una metà. E poi, si deve uscirne?

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Il padiglione al centro di un labirinto, visto dall’esterno, è la cosa più notevole e di solito architettonicamente più curata. Dall’interno è solo strumentale a una bellezza esteriore e artefatta.
Il bene è sempre altrove.

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Il gomitolo è durato poche decine di metri. All’aperto, guardando l’infinita notte delle stelle nell’universo, Teseo siede per terra, la testa fra le mani.

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Il labirinto: l’utopia possibile.

AVVERSE FORTUNE

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Generosità? Rassegnati.  Sii evangelico.

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I conti con la vita si faranno solo in condizione di parità. In presenza della morte.

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Non si impara niente dagli errori. Solo dagli errori di interpretazione, dalle valutazioni errate, dalla conoscenza che ne deriva. Se si è fortunati (ma di fortuna, ce ne vuole molta).

Solo così si può sopravvivere alla coscienza di aver sbagliato tutto.

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In dolor veritas?

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Più dell’amore e dell’eros, conta quel «io voglio comprenderti», per gli abissi di significato della comprensione, nonostante la sua abissale impossibilità. Proprio per questo, questa frase non solo non ci viene mai rivolta, ma, seppur pensata, fortunatamente non osiamo rivolgerla a nessuno.

Il motivo: è inaccettabile ridurre un altro soggetto a oggetto: nel momento in cui ciò accadesse, lo uccideremmo. Così, preferiamo invece “morire d’amore”, eccetera.

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Come sarebbe stata la vita, senza la costante dissipazione, avendo potuto capitalizzare il positivo, il negativo, senza aver mai dovuto ricominciare sempre comunque da zero, senza aver dovuto dare valore zero a ogni cosa, anche di valore – senza, per dirla semplicemente, l’incertezza, la costante mancanza di tranquillità…

Certo, i Soloni, i guru vestiti di bianco, arancio, amaranto (e diverse combinazioni cromatiche) amano mentire dicendo che proprio questa è la vita, e che accettarla così è vivere.

Tutto questo è detestabile. Io sono fra quelli (ma chi siamo, quanti siamo?) che trovano che si debba lottare, o più umilmente, pensare, una vita giusta.

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Gegenständigckeit: in fondo l’oggettività è solo qualcosa che sta. Lì davanti. No?

DISSOLVI

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«Coartor autem e duobus desiderium habens dissolvi et cum Christo esse multo magis melius permanere autem in carne magis necessarium est propter vos».

(S. Paolo, Filippesi, 1, 23-24: «Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne»).
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L’arroganza di Paolo. Come se dipendesse da lui.

Eppure, in modo forse lontano dalle sue intenzioni, è come se avesse ragione, l’arroganza non essendo estranea nei destini di quelli tra noi che prendono nelle proprie mani la vita, un rogare che è richiesta diversa, rivolta verso di sé, tendendo la mano. Contro, a volte. (Perché se non si può dire sempre sì, il contrario – la negazione – è sempre possibile). Ma non è questo che importa, quanto l’atto del prendere la vita tra le mani, che si immagina gesto delicatissimo, quanto mai.

Che prima ancora di ogni esito, anzi, incurante, ha a che fare col risorgere.