Io preferisco, in fondo, i pessimisti. Gli unici capaci di ridere. Di sorridere.
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Non è che per il fatto di viverci dentro, la realtà si capisce.
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Che (quanto) la gente stia male lo si vede dal bene che dice.
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Il brutto mattino si vede dal buongiorno.
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Testapiattisti.
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Tutto questo virtuale scrosciato come dalla rottura di una diga nelle vite delle persone in fondo è facilmente comprensibile: non è altro che il buon vecchio bisogno dell’oltre, che defluisce in piena debordando da vecchi argini. Solo che da lucidi, antichi frequentatori dell’altrove e smascheratori di illusioni quali siamo, sappiamo bene che non c’è mare, che non c’è un oltre, nessun altro luogo che (ovunque-e-sempre) questo.
Avvertirli, come sempre, è inutile. Di buono, c’è che ora l’oltre ci sembra meno affascinante, che l’adesso è diventato poco frequentato, solitario e quasi incontaminato, e ci si sta, insolitamente, stranamente, bene. Per ora. Finché siamo liberi di uscire.