Diario della peste – Le ultime pagine

Sempre meglio finirla un po’ prima.

Sempre meglio non tenere mai un diario, si corre il rischio di non vedere una rivoluzione, e quel giorno scrivere: «aujourd’hui, rien». Vero è che allora le notizie ci mettevano una settimana. Oggi è anche peggio, però. Ma tranquillo: nessuna rivoluzione.

Infatti non era un diario.
(Pena, per chi deve scrivere a scadenza).
(Come se non te ne ricordassi…).

Il «distanziamento» sociale è un lapsus formidabile. L’inconscio, anche quello collettivo, non mente mai. Ed è come se, una volta finito il distanziamento fisico, il destino ci tracciasse la via…

Ho già detto che l’unica cosa buona della vita è guardare le nuvole? Probabilmente sì. Sicuramente.

La vita è meccanica. Movimento, rottura.

Che la forma di vita più elevata sul pianeta è quella vegetale?
Sì.

Però ci sono edere, liane. Parassiti e assassini.

Che quindi non resta altro che il minerale?
Veramente, è stato già detto da qualcun altro.

[Illeggibile, più cancellature] è inutile.

— L’acqua bolle quasi. Tolgo?
Mi guardo nel riflesso del vetro.
L’Eremita fa cenno di sì con la testa.

E sembra voglia dire: «Te l’avevo detto… ».

* * *

Muore mille volte chi ha paura della morte.
(Epicuro)

I discorsi sono una vecchia rete lacera, dalla quale i pesci fuggono non appena gliela si getta sopra. Forse il silenzio è meglio. Proviamo.
(V. Woolf)

Diario della peste – Giorni 31-57

La colpa è vostra. Avete tollerato che venissero chiamati, del tutto fuori luogo, «governatori», e ora pretenderebbero di governare.

«La natura è per sua natura non-lineare».
«Non ho paura di ammalarmi. Di cosa allora? Di tutto quello che il contagio può cambiare. Di scoprire che l’impalcatura della civiltà che conosco è un castello di carte. Ho paura dell’azzeramento, ma anche del suo contrario: che la paura passi senza lasciarsi dietro un cambiamento».
«[N]on è detto che augurarsi il meglio coincida con l’augurarselo nel modo giusto. Aspettare l’impossibile, o anche solo l’altamente improbabile, ci espone a una delusione ripetuta. Il difetto del pensiero magico, in una crisi come questa, non è tanto di essere falso, quanto di condurci dritti verso l’angoscia».
(P. Giordano).

Essere addestrati a vedere il male dove gli altri non lo vedono è perfettamente inutile. A cosa può servire? A niente. Bisognerebbe proprio trovarsi in un cataclisma planetario…

«Le parole contano. Distanziamento sociale è fuorviante. Non è quello che vogliamo. Abbiamo bisogno di distanziamento fisico e di forte prossimità sociale altrimenti non ne usciamo. Consapevolezza del fatto che il nostro comportamento incide su quello degli altri e viceversa» (Tito Boeri).

Li chiamano eroi. E loro giustamente si scherniscono perché fanno solo il loro dovere. E poi ci sono quelli che che fanno gli eroi. Ma nessuno li chiamerà mai così.

Se c’è qualcosa che ti angustia e non sai come uscirne, fai così: inaugura, arbitrariamente, la Fase 2 e ripeti a te stesso per tre settimane che la Fase 1 è finita. Provaci, funziona…

Ed ecco a voi il «new normal»… Avevate sottovalutato la post-verità, eh? Vi sta bene.

Sbattere la testa al muro per ricordarsene: distanziamento social.

L’Eremita fa il tè. L’unica cosa che abbiamo in comune. Ma lui sì che è furbo. Continua a stare zitto.

Diario della peste – Giorni 26-30

«C’è il boom della comunicazione: tutti a comunicare che stanno comunicando» (Altan).

Cosa si fa se il «tanto atteso» picco non arriva? Si smette di dire il numero dei morti e si inventa, ecco a voi… il «plateau».

Salute vs. economia, anzi, diciamo le cose come stanno: soldi.
Fottuto bastardo… tu sapevi già chi avrebbe vinto, eh?

Soffrono la mancanza di libertà perché pensavano di essere liberi.

L’Eremita, lassù… È tornato lassù. Bastardo.

Diario della peste – Giorni 12-25

Si può, per favore, non usare la parola «guerra», per indicare tutti gli sforzi che si stanno facendo… ecc. ecc.?

I numeri sono andati a puttane. Come? Non ti piace questo linguaggio? Più elegantemente: i numeri hanno esaurito il loro potere di rappresentare la realtà.
Ma detto così è tremendamente peggio.

Un capolavoro: diritto (alla salute) vs. economia. Perché ci sia economia ci vuole qualcuno che sia vivo, però.

Il «distanziamento sociale» c’era già.

Elizabeth Kubler Ross: incredulità: fatto; rabbia: fatto. Vediamo di sbrigarci con la depressione e di arrivare alla svelta all’accettazione, eh.

Distanza a didattica.

Che bisogno ho, di dire al mondo che esisto?

No, forse al mondo sì. Non è il mondo, la questione. Per tutto il resto, no.

Resta qualcosa, oltre al mondo?

L’Eremita, lassù… Ma chi l’ha detto che è lassù? Lui fa il bagno al mare, e prende il sole…

Diario della peste – Giorni 9-11

«Difficile per gli studiosi dire se nella zuppa primordiale sia nata prima la cellula o prima il virus».

Tutti e definire irreale lo scenario che si dipana sotto i nostri occhi (mediatici, però). Invece, giorni fa, quando sono uscito (in deroga più che legittima al DPCM), ho visto che la realtà è proprio così. Siamo noi ad averla abitata. Nel modo che sappiamo. In realtà, tra 100 anni si faranno battaglie in difesa della realtà proprio come oggi (non) si fanno a favore dell’ambiente.

La natura è indifferente all’uomo. No, magari, ne subisce invece le conseguenze. È lo sguardo della natura verso l’uomo che lo è. Che poi, a ben guardare, è il nostro.

L’agente Smith, in Matrix, sostiene infatti che l’uomo è un virus.

Jules Verne è in fondo perdonabile. Tutta la fantascienza, in realtà, è distopica.

Tutta la letteratura, anche. Tutta la letteratura è distopica. Non si era detto che ogni scrittura è biografia?

Rigurgiti di complottismo. Perfino ora che gli sciacalli fingono di tacere. Smentiti dalle file di carri funebri per entrare nei cimiteri.

Tutti virologi, col COVID degli altri.

Nel 2001 tutti a dire «niente sarà più come prima». Sonora idiozia, perché già ogni giorno non è come quello prima. Invece tutto rimase proprio come prima. Anzi, peggio.
Oggi che non si sbaglierebbe, è tutto un «tutto andrà bene», e nessuno che abbia il coraggio di dirlo. Anche se spero che che sia ancora troppo presto. (Se anch’io mi metto a sperare, però, è finita davvero).

L’Eremita, da più di qualche giorno, tace. Lui sì che fa il suo mestiere.