La lucidità e il pessimismo sono inestricabili. Se si è lucidi, non si può fare a meno di vedere le cose così come sono: nel peggiore dei modi; se si è capaci di vedere il peggio, si esce dalle nebbie dell’ottimismo ingenuo – quando non doloso.
Lucidità e pessimismo sono inseparabili dalla lungimiranza.
Si tratta però di maledizioni, non di talenti, valuta pregiata senza corso legale. Essere sempre in anticipo sui tempi vuol dire non essere, il pessimista può trarre un respiro di sollievo solo quando, tardivamente, gli ottimisti si accorgono del peggio. Il pessimista sa che da loro non deve attendersi né ragione né gratitudine, cose che lui rifugge, e sorride quando ormai tutti riescono a vedere la situazione volgere al peggio. Allora si sporge sereno sul destino, appoggiandosi alla ringhiera del presente. È lui l’unico a viverlo, il presente, a dispetto del suo sguardo, gettato sempre lontano, e l’unico a sapere cosa realmente il presente è: punto di osservazione, sporgenza sul divenire e sulla futurazione. È l’unico a non esserne schiavo, da solo, unico prigioniero in una prigione senza muri.
In posizione panoramica, il pessimista sorride.
Ma ecco, in lontananza, che si incomincia a distinguere qualcosa… Il sorriso del pessimista prende ora una piega sarcastica: la maledizione di sapere, di vedere lontano. Proprio ora che – disperati – la compagnia degli uomini era quasi sopportabile…