PRENDERE NOTA. I TACCUINI APERTI DI ANTONIO VIGILANTE

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Il sottotitolo è pessoano. Tanto per intendersi sin da subito su che genere di scelte sono state compiute di fronte alla questione della memoria, dell’ermeneutica, e delle tracce della vita. Che la vita lasci tracce, mostrare i segni. Questa è la scelta di Antonio Vigilante.
Un altro di noi, un altro di quelli che annotano. Vivere prendendo nota. Non è solo questione dello scrivere, e di tutti i falsi problemi legati alla scrittura: la questione dell’arte, la questione dell’estetica e dell’espressività, la questione della sua terapeuticità e al tempo stesso valenza ossessivo-compulsiva – il suo essere farmaco e malattia, talmente intricati da non poterne distinguere i confini. Nel lento sgranarsi degli appunti, Vigilante ci riporta alla presenza di un’altra modalità dello scrivere: la lettura del mondo, ancor prima della scrittura, ancor prima che divenga parola scritta.
Vivere prendendo nota può allora costituire un pendant filosofico di ciò che molto tempo fa definivamo «poetica dell’accorgersi»: lì era questione dello sguardo, e della sua significanza negativa, matrice di senso nella sua essenza di vuoto; nella scrittura per appunti, Vigilante suggerisce, a noi aforismatici, un’altra prospettiva: la visione, lo sguardo prima della scrittura, visione/sguardo già densi in partenza, che non negano valore alla distrazione. Quella che affligge gli uomini che ci sono accanto, nei nostri tempi, essendo ben peggio che distrazione: concentrazione sul peggio. La distrazione cui la scrittura di Vigilante non chiude la porta è sguardo/visione pronti a lasciarsi prendere dall’apparente – o reale che sia – disposizione disordinata delle cose nel mondo, dall’apparente o reale disordine del mondo delle cose e degli uomini.
Dire «aforismatici» ci dispensa dall’avvertire il lettore di liberarsi dall’ossessione (questa sì preoccupante) del pensiero sistematico, dei sistemi di pensiero e delle questioni filosofiche ad essi collegate. Non più tempo; da tempo abbiamo rinunciato a quella strada; il lettore frettoloso cerchi nei wiki la sintesi dei nostri padri: Nietzsche, Schopenhauer, Cioran, Rensi, Ceronetti, Sgalambro… Tanto per intenderci. Al lettore più rilassato raccomandiamo di fare delle note di Vigilante un uso personale; vi troverà rigore, acume, e, cosa più importante, l’avvertenza che una diversa lettura (del mondo, delle cose) è sempre possibile:

L’uomo guarda il mare. Io guardo l’uomo che guarda il mare. Chi è più solo, lui che guarda il mare, o io che guardo lui che guarda il mare?
L’uomo va via. Resto a guardare il mare. Sono più solo ora che guardo il mare, o ero più solo prima che guardavo l’uomo che guardava il mare? (p. 65)

Non si scrive per la memoria, per lasciare tracce, ma per disfarsi delle tracce che ci lascia addosso la vita: «Trovassi un mare mai guardato da nessuno, potrei smetterla di guardare – e nuotare» (p. 67).
Con una buona dose di commozione, l’ultima nota di questo libro sta lì a dirci che sono indelebili. Possiamo solo aggiungerne altre, aggiungere la nostra voce al rumore silenzioso delle cose e del mondo.

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Antonio Vigilante, La mano aperta. Taccuino delle inquietudini, Ebook, ISBN: 978-0-557-47331-1, Lulu.com, €8.00
Download gratuito:
http://www.lulu.com/content/content_download_redirect.php?contentId=8794436&version=7

postato da error405 06/12/2010 11:38

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